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Nono dono: la libertà da egoisticale a sacrificale.
4) Quarta operazione: Ai concezionalizzati va la totalità
delle benedizioni divine.
Gesù benedice toccando i bambini. Qualcosa di suo passa
ai piccoli, che risultano benedetti: detti bene. È un atto del
dire, non del dare. Occorre dare una benedizione. Prima
benedizione: a) i piccoli sono gli unici ad accogliere bene
il Regno di Dio.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova.
Tocca la libertà egoisticale, ed ecco venir fuori: la libertà
sacrificale. Satana me l’ha rapita, il visuato Paterno me
l’ha restituita, il visualizzato Figliale me l’ha irrobustita,
insegnandomi a discipulare e chiamandomi a piccolare.
Ieri porgeva ai chiamati un giogo esemplare, oggi uno spirituale:
il suo spirito di amore sacrificale.
Con esso chiama a piccolare.
I chiamati se li unisce coniugalmente. I coniugati se li
fonde concezionalmente. Ai concezionalizzati va la totalità
delle sue benedizioni. Il tutto viene riprodotto sensibilmente
nel bambino.
Fa sapere che chiama a piccolare, chiamando a sé i bambini.
Fa sapere che se li unisce coniugalmente, abbracciandoli
singolarmente.
Fa sapere che se li fonde concezionalmente per quella
fecondità assoluta e perenne che ha conseguito nella sua
metamorfosi crociale.
Fa sapere che ai concezionalizzati va la totalità delle sue
benedizioni, benedicendo i bambini singolarmente.
1) Come fa a benedire i bambini. Li benedice ponendo le
mani su di loro.
Due cose che le mamme domandano a Gesù per i loro
bambini; una sola viene concessa: non prega su di loro,
ma li benedice ponendo le mani su di loro.
2) Quel gesto aveva una sua precisa significazione. Vuol
dire che Gesù passa qualcosa di suo ai piccoli; nel caso
in parola: passa il suo spirito di amore sacrificale. Con
quello spirito il piccolo risulta benedetto: detto bene.
Siamo così arrivati alla benedizione. Noi usiamo il verbo
‘benedire’ e il termine ‘benedizione’. Il verbo benedire si
compone di due parti: l’una è: dire, e l’altra è: bene.
Componendole è: dire bene, e in un modo scorrevole è:
benedire. È un atto del dire. Noi l’abbiamo trasformato in
un atto del dare: ‘Mi dia una benedizione’.
Due cose distinte: darmi quel bene che mi fa benedetto.
Non sempre il bene c’è; è allora che si rende necessario far
conoscere il bene che non c’è, perché ci sia.
Normalmente si domanda la benedizione per un ammalato
per impetrare il bene della sua guarigione. Può un
ammalato dire bene della sua malattia?
Ma quello è un segno di un’altra malattia: quella dell’amore,
per guarire dalla quale occorre anche portare
bene la fisica: con devoto, silenzioso amore sacrificale.
C’è il segno (male fisico) ma non c’è il profeticale (malattia
dell’amore).
C’è volontà di guarire dal segno, ma non dal profeticale.
Per questo il sacerdote deve mettersi a parlare perché il
bene che non c’è si faccia presente. Allora la benedizione
vale, perché è una benedizione sacrificale e non semplicemente
egoisticale come quella che normalmente domandano
i fratelli.
Gesù ponendo le mani sui bambini fa sapere che veramente
benedice i piccoli, perché a loro passa il suo spirito di
amore sacrificale da vivere.
È per quella dotazione rale che ad essi va la totalità delle
benedizioni verbali. Ecco pertanto in elenco le benedizioni
dei piccoli.
1) I piccoli sono gli unici che bene accolgono il Regno di
Dio. Per descriverlo l’abbiamo analizzato nelle sue
varie componenti. Regno di santità e di grazia, di
amore, di unità, di giustizia e di pace. Si può raccogliere
in una unità di estrema semplicità: è il Regno del suo
spirito di amore sacrificale. Chi lo accoglie bene qui è
sicuro di entrare lassù. Sono solamente i piccoli: ‘In
verità vi dico: chi non accoglie il Regno di Dio come
un bambino non vi entrerà’. Sono in molti a voler entrare
lassù; ma quanti sono disposti ad accoglierlo da piccoli
quaggiù, pronti a lasciarsi sacrificare?

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