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Decimo dono: la preghiera da egoisticale a sacrificale.
Abbiamo bisogni materiali: per questi la vita diventa
ricerca affannosa e quindi preghiera. Abbiamo bisogni
spirituali: la salvezza, e la facciamo oggetto della preghiera
del dire e non del fare.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera egoisticale
ed ecco uscir fuori la preghiera sacrificale. La preghiera
nasce da una vita in certe sue delicate situazioni. La
vita non ha con sé tutto l’occorrente. La mancanza di un
qualcosa di vitale la pone nello stato di bisogno. Se può
provvedervi da sola tutto si appiana. Se non lo può, ecco
che la vita si fa in preghiera per ottenere quanto assolutamente
necessita. Nella vita umana al suo incominciare il
Padre vi ha inserito la sua, dandosi da vivere. Una vita di
amore sacrificale che Satana ha manipolato in egoisticale.
Quello che ha se lo gode. Quello che non ha lo domanda
per ottenerlo. A questo punto la vita egoisticale si fa in
preghiera. Se manca cibo o bevanda o vestito, la persona
si affanna a la sua preoccupazione fa della sua vita una
preghiera intensissima. Richiamiamo il vangelo di
Matteo: ‘Non vi affannate dunque, dicendo: che mangeremo?
Che berremo? Di che ci vestiremo? Perché tutte queste
cose le ricercano i pagani. Infatti il Padre vostro celeste
sa che abbisognate di tutte queste cose. Cercate invece
prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose
vi saranno aggiunte’. Preghiera egoisticale quella che
nasce per provvedere ai bisogni materiali.
Ma il cristiano ha pure una serie sconfinata di bisogni spirituali
che vanno a unificarsi in quel grande bisogno che lo
accompagna in tutta la sua vita. Qual è la cosa che maggiormente
preme nella tensione del cristiano? È sicuramente
la salvezza dell’anima sua. Già questa espressione
ha sapore egoisticale e nei casi più sfacciati non si manca
di dare una espressione banale e triviale: ‘Basta che mi
salvi io, gli altri poi si arrangino!’. Per un bisogno in tutti
presente, così forte e così impellente, è più che naturale
che si scateni un pregare incessante. Ricordiamo una
espressione corrente: ‘Dolce cuore di Maria, siate la salvezza
dell’anima mia’. Le stesse preghiere liturgiche ci
fanno puntare decisamente a quel traguardo. Cosa attendiamo
noi da un simile pregare incessante? Poiché ci
hanno garantito che la preghiera è quella che salva, noi ci
buttiamo su di essa non solo con la speranza e la fiducia,
ma con la certezza di conseguirla: ‘Chi prega si salva, chi
non prega si danna’. Non ci siamo mai domandati che tipo
di preghiera sia questa. Ma ora non possiamo più sfuggire
all’occhio della verità. Questa è una preghiera del dire, e
su di essa scende il giudizio di Gesù: Mt 7: ‘Perché mi
chiamate Signore, Signore, e non fate le cose che io vi
dico? Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel
Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è
nei cieli’. Allora Gesù fa scoppiare l’inganno: ‘Molti mi
diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo
profetato nel tuo nome, nel tuo nome cacciato demoni, e
nel tuo nome fatto molti prodigi?. E allora io dirò loro:
non vi ho mai conosciuti, allontanatevi da me, voi operatori
di iniquità’. La salvezza non è dal pregare, dal profetare,
dall’esorcizzare, dal miracolare. La salvezza non proviene
dalla preghiera del dire, ma del fare. E il nostro pregare,
allora, dove va a finire? Tutto da bruciare? Gesù ci
ha aperto gli occhi: non è la preghiera del dire che ci salva,
ma solo quella del fare. Pregando quindi non dico a Lui,
ma me lo dico per lanciarmi al fare.

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